venerdì 18 settembre 2009

A colloquio con Woody Allen… ovvero mantenere il giusto equilibrio nella conduzione del colloquio

Rieccoci ai nostri commenti sui colloqui con un post tutto dedicato a consigli per i selezionatori, che spero possano essere utili anche a tutti i candidati per capire meglio la professionalità del loro interlocutore. Di seguito il link a cui mi sono ispirata questa volta: http://www.youtube.com/watch?v=nV0G7VaRfLc Un giovane Woody Allen in Prendi i soldi e scappa ci mostra un imbarazzante selezionatore alle prese con un candidato particolarmente intraprendente, che al termine del colloquio ha completamente preso il controllo della situazione. Di solito il colloquio viene considerato come uno scambio asimmetrico, in cui è il selezionatore ad avere “il coltello dalla parte del manico”. Spesso non ci si rende conto che si tratta invece di uno scambio reciproco, il cui equilibrio è in realtà piuttosto fragile. Certo, il candidato è esposto perché deve presentare se stesso e persuadere chi ha di fronte, ma il selezionatore dall’altra parte ha il dovere altrettanto pressante (e stressante?) di condurre il colloquio nel modo ottimale per stimolare il candidato ad esprimersi al meglio e lasciare una buona impressione dell’azienda a prescindere dall’esito della selezione. Personalmente, durante i miei primi colloqui come selezionatrice, ero sicuramente più agitata io dei candidati che incontravo! Come salvaguardare dunque la corretta conduzione del colloquio di fronte a candidati particolarmente problematici? Prendendo spunto dal video, vorrei farvi notare che il selezionatore inizia il colloquio dicendo: “Il suo nome, prego”. Questo significa che egli non ha idea di chi abbia di fronte. E’ invece importantissimo per un buon recruiter conoscere il profilo del proprio candidato, prima dell’incontro. Mai pensare che il colloquio sia limitato all’intervista: la fase di preparazione (assieme all’ultima fase della valutazione) è una premessa essenziale, la chiave della buona riuscita dell’intero incontro. Analizzare prima il profilo del candidato (almeno su carta) aiuta ad individuare le modalità migliori di relazione, a costruirsi una scaletta mentale di domande, a sapere quali caratteristiche indagare rispetto alla job description, ecc. Avere una preparazione preventiva è come aver disegnato un percorso su una mappa: se un ostacolo sul tracciato dovesse obbligare a una deviazione, sarà più facile ritrovare la direzione giusta ritornando sul nostro sentiero. Notate poi le domande che avanza il selezionatore: “Ha avuto esperienze in qualche ufficio? Di che tipo di ufficio si trattava? Ha qualche esperienza nell’uso di un computer elettronico? In che ditta? Sua zia di che si occupa? Si trattava forse di...?”. A queste domande, un candidato particolarmente chiuso può benissimo rispondere “sì/no” o comunque esprimersi con una singola parola. Ricordo bene la prima simulazione di colloquio che ho fatto col mio tutor durante il mio primo lavoro, prima di condurre le interviste in modo autonomo; il consiglio che mi ha dato i quell’occasione è: fare sempre domande il più possibile aperte al candidato. Il recruiter deve incoraggiare il candidato a parlare il più possibile, innanzitutto perché può conoscere meglio la persona che ha di fronte e poi per evitare di formulare sempre nuove domande per indagare più a fondo. Direi che nel discorso affrontato in una selezione almeno l’80% delle parole devono venire dal candidato. Il selezionatore del film poteva chiedere, ad esempio: “Mi parli delle sue precedenti esperienze lavorative. Può descrivermi l’ufficio dove lavorava? Mi racconta qualche esperienza in cui si è trovato a lavorare su un computer? Cosa produceva la ditta per cui ha lavorato in precedenza e com’era organizzata?”, e così via. Ma la cosa più difficile è forse reagire alle provocazioni di candidati particolarmente aggressivi. E’ difficile perché bisogna trovare la giusta via di mezzo tra la reazione completamente arrendevole del selezionatore nel finale del film sopracitato e la reazione invece di risposta aggressiva. Occorre controbattere in modo da rinsaldare il proprio ruolo, senza sconfinare però nella scortesia, perché il recruiter ha il dovere di lasciare sempre un’impressione positiva dell’azienda, che in quel momento sta rappresentando personalmente. Ma su questo non posso dare nessun consiglio, se non quello di usare sempre l’educazione: per il resto solo l’esperienza pratica può insegnare. Infine mi ha colpito particolarmente quanto detto dalla voce narrante al termine del video e cioè che il protagonista ha messo il selezionatore in uno “stato confusionale”. Non c’è niente di più vero: a volte questi colloqui particolarmente problematici rendono difficile la fase di valutazione. Il colloquio infatti non è altro che una relazione a due e ogni relazione nella vita implica la presenza di emozioni. Durante un colloquio disorientante come quello in esame, le emozioni suscitate sono molte e a volte contrastanti. Un buon consiglio per far chiarezza nella fase di valutazione emerge dal libro La selezione. Metodi e strumenti psicologici per scegliere le persone, di L. Borgogni e C. Consiglio (http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?ID=15252&Tipo=Libro&titolo=La+selezione.+Metodi+e+strumenti+psicologici+per+scegliere+le+persone): “per ‘capirci qualcosa’ di ciò che avviene nel qui e ora della relazione con il candidato, è necessario attingere ad una specifica competenza professionale, che consenta di utilizzare capacità auto-riflessive ed auto-osservative; in altri termini è necessario saper riconoscere ed utilizzare le proprie emozioni attivate dal e nel rapporto con l’altro al fine di trarre informazioni sul rapporto medesimo e di conseguenza sull’interlocutore”*. L’autore propone dunque alcune domande di “interrogazione emozionale”, delle quali riporto qui quelle più significative rispetto al nostro esempio: “Che impressioni ho avuto? Come mi sento di fronte a questa persona? Mi sento riconosciuto nel mio ruolo? Mi sento attaccato o aggredito? Mi sento professionalmente rispettato o percepisco una svalutazione nei miei confronti? Sento che non posso approfondire troppo alcuni aspetti? Sento che vi sono delle aree di silenzio?”. Questo tipo di domande permettono di riacquistare la lucidità e l’obiettività necessarie per una valutazione corretta rispetto ai criteri dell’azienda. Per riassumere, possiamo dire che gli ingredienti base per la corretta conduzione di un colloquio “problematico” siano: la preparazione, la tipologia di domande, l’interrogazione emozionale e… una buona dose di autocontrollo! Un animo forte è quello che, anche nelle più forti emozioni, non perde il proprio equilibrio interno - Von Clausewitz. *Vedi link per info sul libro. Citazione dal Cap. 7, Par. 1.4. La dinamica relazionale.
Alice

5 commenti:

  1. ciao ragazzi!
    sono un'assidua lettrice del vostro blog, mi affascina molto l'entusiasmo e la dedizione che ci mettete. oltre all'innegabile scopo divulgativo ed informativo, quello che sicuramente colpisce di più è la vostra passione in questo lavoro.
    mi chiedo: cosa spinge una persona a fare il recruiter? come si fa a gestire la responsabilità di valutare una persona in cosi poco tempo?

    francesca

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  2. ciao ragazzi!
    sono un'assidua lettrice del vostro blog. oltre allo scopo divulgativo ed informativo di questa vostra opera, mi colpisce molto l'interesse, la dedizione e la passione che ci mettete.
    mi e vi chiedo: cosa spinge a diventare recruiter? come si gestisce la responsabilità di giudicare una persona in pochi minuti?

    francesca

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  3. Cara Francesca,
    innanzitutto grazie mille per i complimenti!

    Personalmente penso che la passione sia data proprio dal compito così sfidante.. le persone sono volubili, dinamiche, imprevedibili e sicuramente difficili da valutare.

    Quello che noi cerchiamo di fare con tutte le nostre forze è tentare di trovare dei criteri il più oggettivi possibile che descrivano il "dipendente ideale" per la nostra azienda.
    Durante il colloquio, poi, cerchiamo di capire quanto la personalità, il set di competenze tecniche e relazionali, e la motivazione di una determinata persona si avvicinano a quei criteri.

    Essere scartati ad un colloquio NON vuol dire essere dei "losers", vuol dire semplicemente che il nostro profilo, in quel determinato momento della nostra carriera professionale non è in linea con il "profilo ideale" di quella SPECIFICA azienda.
    E' importante capire che il recruiter NON ha il compito di giudicare noi in quanto persone di valore o meno, ma semplicemente valutare rispetto ai criteri adottati dall'azienda.

    Nell'attesa di una risposta dalla nostra esperta Alice, spero di averti dato un'idea di come un recruiter serio e motivato dovrebbe svolgere il proprio lavoro.

    GiuS

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  4. GiuS ha detto bene.
    Normalmente si valuta il cosiddetto "FIT" tra candidato e necessità aziendali ... ma attenzione: qualche pensierino sulla persona che abbiamo di fronte in un colloquio possiamo anche pensare di farlo. Ha il potenziale per crescere? E' determinato/a, empatico/a? Queste sono valutazioni da fare a prescindere dalla specifica necessità e possiamo benissimo prenderci le libertà di farle.

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  5. Francesca,

    Grazie per i tuoi complimenti!

    "Cosa spinge una persona a fare il recruiter?" Non saprei cosa risponderti a questa domanda e sai perche'? Perche' in realta', prima di sperimentare questo ruolo, la selezione era l'attivita' HR che consideravo meno vicina a me. Proprio come te, anch'io infatti mi chiedevo: "come si fa a gestire la responsabilità di valutare una persona in cosi poco tempo?"

    Solo mettendomi in gioco come recruiter ho potuto superare questa incertezza, perche' ho capito che e' del tutto immotivata. Come ha detto GiuS non si tratta di nominare "vincitori" o "perdenti", ma semplicemente di valutare chi puo' svolgere al meglio un certo ruolo, in una certa azienda.

    Perche' mi sono poi appassionata alla selezione? Beh, oltre alla sopracitata "sfida" di fare il giusto match persona/posizione, le esperienze piu' belle che l'attivita' di recruiting permette di vivere sono a mio avviso:
    - incontrare tante persone che portano con se' ciascuna una piccola storia;
    - arrivare ad avere una visione molto approfondita dell'azienda analizzando le singole posizioni aperte, in tutte le loro mansioni e obiettivi;
    - creare network di relazioni con i managers responsabili delle posizioni e, piu' in generale, con le divisioni interessate dalla ricerca;
    - avere l'"onore" di presentare la tua azienda a persone esterne, per le quali TU sarai l'unico ufficiale rappresentante dell'intera organizzazione.

    E queste sono solo le prime che mi sono venute in mente, ma ti posso assicurare che per un selezionatore ogni giorno regala delle sorprese!

    Alice

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