mercoledì 28 ottobre 2009

Anche noi abbiamo i nostri piccoli inconvenienti ...

Per problemi "tecnici", rimandiamo a domani il post di GiuS!

Non mancate.

Os

domenica 25 ottobre 2009

Pillole di Downshifting e il mito della vita Slow ...


Basta, non ne posso più. Mollo il lavoro e mi apro un bar ai Caraibi!
E se ci perdo in guadagno, ci vinco in salute ...

  

Quante volte abbiamo sentito pronunciare (o abbiamo pronunciato) una frase del genere? La routine, la nebbia e la pioggia, i lunedì, il traffico e il parcheggio che non c'è, un capo/collega difficili da gestire, un progetto stressante e perchè no un problema personale ... Capita di non riuscire a trattenere, almeno verbalmente, la voglia di mollare tutto, di cambiare il proprio stile di vita e stabilirsi in un posto rilassante come quello rappresentato nella foto. Ma cosa resta al di là delle parole?

Ai nostri giorni riusciamo a dare un nome ad ogni emozione, ad ogni sfogo, ad ogni volontà presunta o reale ... tutto deve avere il proprio nome ... meglio ancora se in inglese, che fa molto più chic. Ed allora qualcuno ha pensato bene di affibiare alla scelta volontaria di rallentare il nomignolo Downshifting. Parola composta, che ha una forte assonanza con i concetti di ridurre la marcia oppure, parafrasando il lemma del mio impolveratissimo New Oxford Dictionary, scambiare una carriera economicamente soddisfacente ma stressante, con uno stile di vita più lento e meno redditizio.

"Lentezza" è una buona chiave di lettura per capire bene di cosa stiamo parlando. Mentre mi documentavo per saperne di più sull'argomento Downshifting, sono stato immediatamente colpito dai Tweet di Carl Honore, un giornalista canadese autore di un fortunatissimo libro intitolato In Praise of Slowness: How a Worldwide Movement Is Challenging the Cult of Speed.

L'opera definisce le teorie del Movimento della Lentezza (per maggiori informazioni, visitate il sito di Slow Planet): lavorare, giocare e vivere meglio facendo ogni cosa alla velocità giusta. Insomma, se non ci lasciamo prendere dalla frenesia, possiamo condurre una vita migliore. Un esempio? Non riesco a non citarvi il post In Praise of Slow Sex, sempre scritto da Honore. E' la vicenda di due amanti che interrompono l'atto sessuale perchè lei ha ricevuto un SMS sul suo iPhone e decide di leggerlo e scrivere una risposta ... Poi, con invidiabile naturalezza, chiede al suo imbarazzatissimo amante di riprendere ... Non stupitevi perché una ricerca dice che 1/5 di noi si lo fa!

E' verissimo, si tratta di un estremo. Ma il concetto è virtuoso: riappriopriarsi della propria vita gradualmente potrebbe renderla più sostenibile, per usare uno degli aggettivi più in voga del momento. Probabilmente riusciremmo a capire meglio il valore delle cose, delle emozioni. Il Corriere della Sera ha recentemente dedicato un articolo sull'argomento. Racconta la svolta di vita di un ex-manager di una delle più importanti aziende di consulenza: ad un tratto, il protagonista ha deciso di mollare tutto e dedicarsi alla scrittura, alla vela, all'agricoltura. La sua giornata tipo non ha nessun programma predefinito, mentre prima di lasciare il lavoro la sua vita era pianificata per i successivi 5 anni. Oggi Simone Perotti (guardate il suo profilo su LinkedIn), si dichiara "Scrittore e Navigatore @ Nessuna Azienda". E consiglia a chiunque di fare una scelta come la sua. Fantastico.

Adesso torniamo al principio. Come considerare l'idea di lasciare il proprio lavoro per cominciare una semplice attività imprenditoriale? Qui inizio ad avere qualche dubbio. Chi pensa che Downshifting sia aprire un ristorantino potrebbe in realtà incappare in un brutto errore di valutazione. Prendiamo il caso del ristorante: avete idea delle difficoltà che caratterizzano un'attività come questa? Proveniendo da una famiglia di ristoratori, parlo per esperienza personale: se non si è disposti a mettersi all'opera dalle 9 alle 24 (sono nei feriali, nei festivi è molto di più), a non avere praticamente nessuna pausa nel corso dell'anno, a sostenere sulle proprie spalle tutto il peso imprenditoriale ... Lasciate perdere! E lo stesso vale per bar, enoteche e via dicendo.

Cari lettori, come sempre la verità sta nel mezzo. Rallentiamo pure i ritmi della nostra vita, diamo maggiore peso alla work-life balance, alimentiamoci meglio. Questo è Downshifting. Ma se avete intenzione di lasciare il vostro lavoro per aprire il famoso bar sulla spiaggia dei Caraibi ... Probabilmente non avrete fatto altro che mettere la quinta! Altro che freno motore!

Os


giovedì 22 ottobre 2009

Se potessi avere 1.000 EURO al mese ... Ovvero rispondere alla domanda: “Quanto si aspetta come stipendio?”

Parlando di colloqui con amici e conoscenti, mi sono sentita chiedere spesso: “Cosa mi consigli di rispondere se mi chiedono quanto mi aspetto di stipendio?

Proprio l’altro giorno mi sono resa conto che spesso i recruiter considerano la domanda una routine, ma in realtà dalla parte del candidato suona piuttosto strano sentirsi chiedere quanto si vorrebbe ricevere come remunerazione. Il tema dei soldi è sempre piuttosto delicato da toccare … In particolare in questo periodo di crisi economica, dove sembra che nessuno sia più disposto a sostenere dei costi. Perciò spesso la paura è che l’azienda scarti subito la nostra candidatura se solo chiediamo un centesimo in più di un altro candidato in lista per la posizione. E quello che mi sento ripetere spesso, in qualità di recruiter è: “Ma perché mi fanno questa domanda? E’ normale che me l’abbiano fatta?

Normalissimo, direi. Nel caso in cui avete già un contratto sapere qual è l’attuale retribuzione e conoscere le aspettative rispetto ad un nuovo lavoro (ad es. se si è disposti a cambiare lavoro solo con un aumento retributivo) è fondamentale per la costruzione di un’offerta interessante per il candidato. Come al solito, consiglio la massima trasparenza sia sulla situazione salariale al momento sia su cosa ci sia aspetta da una nuova azienda. Ma questa domanda è importante anche quando chiesta a neolaureati senza esperienza o comunque che non hanno mai avuto un contratto di lavoro diverso dallo stage. Vediamo perché – nel seguito del post mi rivolgo soprattutto a loro.

1) Prima motivazione, molto concreta: verificare che le aspettative del candidato rientrino nel budget che l’azienda mette a disposizione.

2) Secondo: la risposta a questa domanda da parte di un neolaureato/stagiaire può essere molto utile per il recruiter per verificare quanto il candidato è attento a cosa accade nel mercato del lavoro e proattivo nell’informarsi su quanto le aziende stiano offrendo al momento per una certa posizione. Inoltre l’attenzione a questi dettagli più “hard” del rapporto di lavoro (in aggiunta – ovviamente non in sostituzione! – di quelli più “soft” sul contenuto del ruolo) dimostra la concretezza della persona e il pragmatismo nella pianificazione del proprio percorso professionale.

3) Per rispondere a questa domanda poi è necessario che il candidato abbia anche consapevolezza delle proprie skill e delle proprie competenze e sappia proiettarsi nel mondo del lavoro in modo coerente con il proprio profilo – e ascoltare la risposta, per il recruiter, è l’occasione per verificare questa “self-knowledge”.

4) Dalla risposta si evince anche qualche informazione sulle aspirazioni del candidato: chiedere uno stipendio esageratamente basso spesso (non sempre ovviamente – occorre verificare a colloquio) deriva da una situazione di disoccupazione che dura da troppo tempo e dalla quale il candidato vuole uscire a tutti i costi; per cui non gli importerà il lavoro che andrà a compiere e la sua motivazione nel ruolo potrebbe essere quindi compromessa. Chiedere invece una cifra molto alta, se si è appena laureati o “freschi di stage”, potrebbe equivalere invece a sovrastimarsi e a mostrarsi esageratamente arroganti nei confronti di un’azienda che potrebbe offrire una prima esperienza lavorativa.

5) Infine, proprio perché questa domanda risulta abbastanza delicata e spesso crea disagio, è un buon modo per il recruiter per testare la gestione dello stress del candidato e il suo grado di sicurezza nell’affrontare una situazione – diciamolo pure – di negoziazione.

Se la domanda è così importante, cosa rispondere dunque? Il mo consiglio è avanzare la richiesta di uno stipendio nella media di quanto offerto dal mercato. In questo modo, se l’azienda fosse costretta a offrirvi di meno (e voi intendeste accettare lo stesso), potrete sempre dire che valutate comunque positivamente la proposta alla luce dell’interessante posizione proposta. Se invece l’azienda potesse offrirvi anche di più, tanto meglio; di sicuro non sarete valutati negativamente come dicevo sopra (al quarto punto) se avanzate una richiesta in linea con il mercato.

Resta quindi solo più da identificare qual è questa cifra in linea con il mercato. Innanzitutto consiglio di fare un confronto con amici e conoscenti che già lavorano con contratto e che hanno lo stesso titolo di studio e un profilo simile al vostro. Poi non dimenticate di fare un confronto tra le diverse tipologie contrattuali – ad esempio, tenete presente che contratti come quello di Apprendistato Professionalizzante può comportare uno stipendio annuo più basso di un normale tempo determinato o indeterminato per via del basso inquadramento, ma permette comunque di percepire un netto mensile superiore alle altre tipologie contrattuali, poiché i contributi INPS saranno solo dell’5,84% (differentemente da quanto succede a un dipendente con contratto a tempo determinato o indeterminato, i cui contributi vanno dal 9,19% al 9,49%).

Altro consiglio, di solito con questi ragionamenti si arriva ad avere un’idea di quanto sarebbe il mensile (magari al netto di tutte le possibili trattenute) che volete percepire, ma i recruiter sono abituati ad avere a che fare con la prospettiva della RAL (Retribuzione Annua Lorda). Quindi provate a trasformare il vostro mensile netto in un annuo lordo. Per il calcolo del lordo, ogni persona è a sé stante, in quanto la cifra dipende da Regione di residenza e carichi familiari. Per questo consiglio di utilizzare alcuni strumenti che si trovano facilmente online e che effettuano il calcolo automaticamente. Vi suggerisco il sito de La Repubblica, dove potete sbizzarrirvi a provare diverse RAL e a verificare al volo a quanto ammonterebbe il netto mensile.

Infine, per mostrare ancora una maggiore consapevolezza e per ottenere qualche informazione in più in base alle quali accettare o meno la proposta, al termine del colloquio potete anche chiedere al recruiter se sono previsti dei benefit, come ad esempio servizio mensa o ticket restaurant, navetta aziendale, foresterie, etc.

Per concludere, calcoli e precisione a parte, prima di un colloquio, vi suggerisco di canticchiare davvero “Se potessi avere … € al mese …” e di farvi davvero un’idea delle vostre aspettative, confrontandole poi con quanto succede nel mercato. In questo modo, non solo avrete risposto in modo deciso ad una domanda in più del colloquio, ma avrete anche una buona conoscenza di base per dar il via alla vostra contrattazione retributiva con l’azienda!

Alice

domenica 18 ottobre 2009

Quando il gatto non c'è i topi ballano ... o si mettono a gareggiare?

Oggi Love My Job! prende in prestito la locandina e la trama di un film comico  del 2001, (regia e produzione di Jerry Zucker) per parlare di un fenomeno abbastanza diffuso in certi ambienti di lavoro: il Rat Race.


Molti di voi non ne hanno mai sentito parlare, pur essendone - inconsapevolmente - protagonisti. Che cos'è il Rat Race? Esaminiamo la trama del film per cominciare a capire. 8 persone si contendono senza esclusione di colpi una cassetta di sicurezza contenente 2 milioni di dollari. Solo il fortunato vincitore si aggiudicherà il malloppo. Ma l'intensità della competizione porterà ad un nulla di fatto ...

Vi comincia a venire in mente qualcosa? Esaminiamo la voce di Wikipedia: "A rat race is a fierce competition to maintain or improve one's position in the workplace or social life. This term presumably alludes to the rat's desperate struggle for survival (Source: www.yourdictionary.com)." Adesso dovrebbe essere tutto chiaro: si tratta di una competizione spietata per migliorare la propria posizione, nel lavoro o nella vita in genere. Con quali risultati? Be, basta pensare alla corsa in circolo dei topolini ...

E ora ditemi: è capitato anche a voi? Aver timore di lasciare l'ufficio - a lavoro finito - solo perchè i colleghi sono ancora lì a smanettare sul proprio PC. Dover aspettare che vada via l'ultimo impiegato dell'azienda cliente (e magari sono già le 9 di sera) prima di abbandonare "la stanza" dei consulenti. Sentirsi in qualche modo "costretti" a fare qualcosa in più. Produrre quantità e nessun valore aggiunto.  Impegnarsi ad attendere sempre e comunque l'uscita da lavoro del capo, perchè "se lui/lei si accorge che sono ancora a lavoro avrò più possibilità di essere notato prima degli altri".

Il Rat Race è un chiaro esempio di circolo vizioso. Pur avendo concluso il mio lavoro, non lascio l'ufficio perchè vedo i miei colleghi ed il capo ancora al PC. Ma è possibile che anche loro stiano pensando/agendo in questo stesso modo (magari ad eccezione del capo). Il primo che esce libera gli altri. Lo chiamate lavoro questo? Lo potreste mai amare?

Cari lettori, sapete qual è l'unico criterio a dover determinare la quantità di tempo passato in ufficio o la quantità di lavoro prodotto? Il valore aggiunto, la qualità. Il concetto stesso di Rat Race viene a crollare nel momento in cui si riesce a dare un reale contributo. Capita di fare le 9 di sera in ufficio per concludere una riunione di brainstorming. Uscire dopo il capo per concludere le slide della presentazione che lui/lei farà il giorno dopo: saremo apprezzati per il contributo, non per essere rimasti un poco in più in ufficio.

A volte sono proprio gli ambienti di lavoro a causare questa forma insana di competizione. Alcune aziende provano a testare la resistenza allo stress dei propri dipendenti proponendo ad esempio contratti a tempo determinato che prevedono la forma "in or out" al termine. Sapendo che solo alcuni si guadagneranno l'"in", i dipendenti decidono irrazionalmente di competere sulla quantità, più che sulla qualità. 

Altro effetto non trascurabile di questo tipo di politiche: cosa accade ad i rapporti tra le persone coinvolte? I "topolini" smettono di condividere le informazioni che permetterebbero a tutti di fare un lavoro qualitativamente migliore; il teamwork si attenua irreversibilmente a discapito di un inconcludente arrivismo individuale; aumentano i conflitti interpersonali, incrementando il livello di stress e distruggendo il clima aziendale. Vorreste mai lavorare in un tale scenario? 

E' certamente più facile a dirlo che a farlo: in questi casi bisogna provare a non farsi coinvolgere nella gara. O almeno, il consiglio è quello di provare a spostare la competizione sul campo della qualità, tenendo bene a mente l'importanza di una work-life balance equilibrata. E' qui che il talento viene fuori e non c'è orario o gabbia che tenga.

Enjoy it (per la 50esima volta)!

Os

giovedì 15 ottobre 2009

Camera Café e il colloquio di Silvano … Ovvero la tensione pre-colloquio

Rieccoci insieme per l’appuntamento col recruiting. Ho preso questo divertente episodio di Camera Café, in cui Silvano si prepara per un colloquio di lavoro, come spunto per parlarvi della fase pre-colloquio, quella in cui ci si presenta all’appuntamento tesi e nervosi.

Diverse volte, come candidata, mi è capitato di arrivare all’incontro agitatissima. Magari perché l’azienda era uno dei miei personali “best places to work”; oppure per via dell’interessante progetto proposto col ruolo. In queste occasioni, il mio pensiero fisso era: “DEVO FARCELA A TUTTI I COSTI”. Ero seriamente convinta che non mi sarebbe mai più capitata un’altra offerta simile. Per questi colloqui che consideravo particolarmente importanti mi preparavo addirittura una risposta da copione per tutte le domande che – mi immaginavo – avrebbero potuto farmi.

Il risultato? Per fortuna non proprio la scena del bagno descritta da Silvano nell’episodio che abbiamo visto, ma di sicuro si venivano a creare situazioni fantozziane, quali strette di mano fredde e sudate, salivazione azzerata, “impappinamenti” vari durante il discorso ed eventuali gaffe da inciampo e sedie scricchiolanti, che mi facevano perdere il filo del meticoloso copione che mi ero preparata.

Guardando a ritroso, posso dire che i colloqui in cui ho avuto più successo non sono stati quelli a cui inizialmente tenevo di più e ai quali mi presentavo tesa come una corda di violino, ma piuttosto quelli per cui nutrivo una sana curiosità per fare esperienza – senza quindi il “chiodo fisso” di giocarmi il tutto e per tutto per quella posizione, come se non potessero essercene altre in futuro.

E’ certamente comprensibile che ciascuno, come il povero Silvano, sia teso prima del colloquio. D’altronde un po’ di adrenalina aiuta a dare il meglio di sé e di certo ogni recruiter che si rispetti sa che il candidato si trova in una situazione di stress e ne tiene conto. Anzi, personalmente, come selezionatrice, ritengo che un po’ di tensione da parte del candidato sia la dimostrazione del suo interesse per la posizione e di alcune caratteristiche positive del suo profilo, come la tendenza a voler dare il meglio di sé nei momenti “decisivi”.

E’ quando supera una certa soglia e comincia a compromettere la relazione e il dialogo, che questa tensione diventa estremamente dannosa per il colloquio: un candidato come Silvano trasmette al selezionatore l’impressione di non essere capace a gestire lo stress e le relazioni interpersonali! Quindi perché per questa volta non dare ascolto a uno dei bizzarri consigli dell’”uomo chiamato contratto”? Magari non occorre proprio essere ubriachi per superare un colloquio, ma Paolo non ha tutti i torti quando dice di presentarsi col “buonumore”. La positività è infatti la chiave per sentirsi a proprio agio, per dominare l’ansia e per comunicare la padronanza della situazione alla persona che ci sta di fronte.

Penso sia necessaria una good balance per:

- dare il meglio di noi stessi al fine di ottenere la posizione che ci sembra adatta al nostro profilo, senza però pensare che sia l’unica perfetta e quindi evitando di temere la “sconfitta”;

- tenere presente che è il selezionatore a condurre il colloquio ponendo le domande e prendendo la decisione finale, senza però temerlo; consideriamo che anche il candidato ha un forte potere nella relazione, perché se è stato convocato, è perché l’azienda HA davvero BISOGNO di qualcuno come lui che svolga questo lavoro (si tratta solo quindi di comunicare durante il colloquio quelle caratteristiche di noi stessi che a nostro avviso sono decisive per il ruolo);

- prepararsi al colloquio abbozzando un filo conduttore che ci aiuti a parlare di noi stessi senza omettere competenze importanti (un po’ come diceva GiuS in suo post della rubrica Capire e Farsi Capire), senza però imparare a memoria un copione apparentemente perfetto per l’occasione – per paura di sbagliare – perché questo metodo può ostacolare il dialogo data la sua rigidità.

Insomma, è un po’ come dice il saggio buddhista: "Se tendi la corda oltre misura si spezza, se la lasci troppo lenta non suona". Bisogna trovare il giusto equilibrio per continuare ad attribuire la giusta importanza al momento, senza però lasciarsi dominare dall’ansia.

Per concludere, ci tengo a ribadire che il colloquio non deve essere visto come una tortura in cui il selezionatore è il tiranno con il coltello dalla parte del manico. Vivendo i colloqui da entrambe le parti (selezionatore e candidato), mi sono resa conto che si tratta di uno scambio in cui entrambe le parti si arricchiscono dall’esperienza, a prescindere poi dall’esito finale. Pensate che comunque ci guadagnerete qualcosa dall’incontro e vedrete che questo vi aiuterà a dominare l’ansia e a presentarvi più controllati e di “buonumore”. Perché, come direbbe Paolo, “chi ben comincia......... ben comincia!”

Alice

lunedì 12 ottobre 2009

Tutta la perseveranza per diventare Affidabili ... in 10 domande!


Love My Job! propone oggi la prima di una serie di interviste a persone - di certo non sprovviste di coraggio - che hanno scelto la strada della start up come percorso di carriera.

Chi meglio di Matteo Sutto poteva incarnare una personalità del genere? CV accademico molto più che brillante ed iniziali esperienze professionali davvero significative ... Poi? La decisione di cambiare strada, approdando al mondo delle start-up. Il sogno? Quasi scontato: crearne una con le proprie mani. Vi interessa? Date uno sguardo!

1. Descrivi brevemente il tuo percorso accademico e professionale prima di lavorare per GliAffidabili.

Ho conseguito la laurea triennale in Bocconi in Economia Aziendale, arricchita da un semestre alla University of Texas at Austin. Di ritorno dagli States l’insofferenza nei confronti dell’Italia e della mia città natale stava raggiungendo livelli insostenibili. Ho quindi deciso di completare i miei studi all’estero, facendo un MSc in International Management all’ESADE di Barcellona, concludendolo successivamente a Parigi presso HEC.

A livello professionale ho prima fatto un’internship estiva nel dipartimento di Wealth Managment di Credit Agricole in Lussemburgo e successivamente un’esperienza di 6 mesi in banca d’affari a Parigi, da Rothschild.

2. Come mai la decisione di lavorare per GliAffidabili? Quali fattori ti hanno convinto?

Ho sempre avuto il sogno di creare un progetto imprenditoriale sin da tempi pre-universitari. Consideravo il periodo di lavoratore “dipendente” come una fase transitoria prima di buttarmi in un’avventura tutta mia.

Grazie all’esperienza in Investment Banking ho rapidamente realizzato che quel tipo di ambiente non faceva per me. Nessun tipo soddsifazione se non quella economica.

Ho quindi abbandonato Rothschild e Parigi con l’obiettivo di anticipare l’ingresso nel mondo imprenditoriale. E quale palestra migliore se non quella di lavorare in una start-up appena lanciata? Facendo un po’ di ricerche sulle startup italiane particolarmente interessanti mi sono imbattuto ne GliAffidabili. Caso vuole che proprio in quel periodo stessero cercando il primo “esterno” da affiancare al team dei 3 fondatori. Ed eccomi qui.

3. Ti dedichi al sito a tempo pieno? Hai accantonato per ora la carriera in azienda?

Si mi ci dedico a tempo pieno, insieme al CEO della società, Giulia. Credo proprio di aver accantonato la carriera in azienda. Se all’inizio ero molto perplesso sulla mia scelta, ora penso di aver le idee decisamente più chiare: questa é decisamente la mia realtà.

4. Quanto tempo al giorno dedichi al sito? Quante persone lavorano con te e che ruoli ricoprono?

Gli orari alla fine li stabilisci tu. O meglio sta a te gestire al meglio il tuo tempo, fermo restando che devo rispondere del mio lavoro ai 4 soci.
L’altra persona full time é appunto Giulia. Gli altri 2 fondatori, che sono più senior di noi 2, per ora ci lavorano nei loro pochi momenti liberi all’interno della loro giornata lavorativa. Questo significa di fatto che ci lavorano principalmente di notte e nei weekend.

5. Quali sono le principali difficoltà di ogni giorno?

Allo stadio attuale le difficoltà principali riguardano il tentativo di stringere partnership commerciali con enti e portali che ci porterebbero traffico e visibilità. E’ abbastanza frustrante per esempio ottenere una risposta ogni 50 mail inviate. C’é chi dice che la perseveranza sia la qualità più importante in un imprenditore. Molto probabile.

6. Quali caratteristiche personali/conoscenze hai tirato fuori in questa esperienza?

Sto letteralmente scoprendo un mondo che prima conoscevo solamente in superficie. Dalla costruzione di un sito internet, al come fare marketing online, come relazionarsi con i propri fornitori (web agency, programmatori, ecc) e moltissime altre cose. Tutte conoscenze che potrò sfruttare a pieno quando mi lancerò in un’avventura tutta mia

7. Qualche dato sul sito: mission, target, capitale iniziale, anno di fondazione, sede.

Mission e Target sono quelli di diventare il provider # 1 di social reputation in Italia e possibilmente anche nel resto d’Europa sia nel mercato B2C che in quello B2B. A livello più concreto sostituire il modello di directory online tradizionale rappresentato dalle Pagine Gialle per quanto riguarda i servizi professionali.

Il sito é online da aprile 2008 e siamo gentilmente “ospitati” negli uffici di una società di consulenza anche lei appena lanciata che si chiama NuvòConsulting presso cui lavora uno dei 3 soci fondatori. Ne approfitto per invitare tutti i lettori a dare un'occhiata al loro sito e a contattarli qualora siate interessati a lavorare in una società di consulenza assolutamente non-convenzionale
http://www.nuvoconsulting.it/
Sono in piena crescita e sono sempre alla ricerca di nuovi talenti

8. Puoi dare qualche dato sull’andamento? (economici, utenti, recensioni etc)

Abbiamo circa 10.000 utenti divisi abbastanza equamente tra chi cerca e chi offre servizi professionali. Siamo in costante crescita e abbiamo numerose iniziative in cantiere che dovrebbero aiutarci ad accellerare tale crescita ulteriormente. Innanzitutto stiamo lavorando da ormai qualche mese sulla nuova piattaforma che vedrà la luce prima di natale. Un sito totalmente rifatto dove saranno presenti numerosissime funzionalità aggiuntive.

Sul nostro blog (http://www.gliaffidabili.it/blog) potete seguire il "making of" del nuovo sito in puntate settimanali.

Sul lato partnerships abbiamo appena siglato un accordo con Virgilio Genio che ci porterà sicuramente ulteriore visibilità. Speriamo inoltre di comunicarvi a breve ulteriori accordi. Ricordo a chi ci volesse seguire che siamo sia su Facebook con una fan page dedicata, sia su Twitter (twitter.com/GliAffidabili)

9. Cosa ti dà questa esperienza in termini personali che prima non avevi?

Sicuramente la convinzione di voler fare questo nella vita. Penso che non sia una cosa da poco.

10. Ultima: vuoi continuare per questa strada?

Assolutamente si. Possibilmente non in Italia ma all’estero, idealmente proprio negli States.Se non sarà con GliAffidabili sarà con un’altra start up.

giovedì 8 ottobre 2009

Per la serie ... Anche i blog si evolvono!

Cari lettori,

oggi vogliamo proporvi qualcosa di diverso rispetto ai nostri post usuali. L’idea è quella di tenervi ben agganciati al gruppo di Love My Job!, rendendovi consapevoli e partecipi delle scelte che ci porteranno al futuro del blog. Un futuro che dobbiamo costruire assieme, senza alcun dubbio ... Retorica? No, solo pura e semplice verità.

I dati sugli accessi hanno ripreso a crescere, dopo quel periodo sonnacchioso che chiamiamo estate. E’ confortante vedere come vi sia comunque un afflusso costante di lettori, ogni giorno. E’ segno inequivocabile di apprezzamento per i contenuti e per la costanza che mettiamo nel Progetto Blog. Ma vogliamo crescere, siamo affamati di crescita. Puntiamo a duplicare gli accessi da qui a fine anno ... Il contributo decisivo in questo senso non potete che darcelo voi.

Come? Semplicissimo. Ricordate che Love My Job! Propone nuovi contenuti almeno 3 volte alla settimana, grazie al contributo dagli autori permanent: Alice Lombardi (Alice), Giuseppe Sorgente (GiuS) ed Osvaldo Perfido (Os). Ma chi non ha apprezzato le incursioni di Eugenio Pelitti? E Giuseppe Azzolio (JAzz), lo avete già dimenticato? Anche lui ha scelto di scrivere per noi di tanto in tanto. Consultate quindi il blog ogni giorno, per non perdervi i nuovi post.

Abbiamo parlato di evoluzione da costruire assieme ... Partiamo subito! Vi invitiamo a partecipare al nostro primo sondaggio: Quali novità vi piacerebbe vedere su Love My Job!? Potrete scegliere tra alcune opzioni che vi spieghiamo in breve.

1) Stiamo valutando il passaggio dalla piattaforma “blogspot” ad un provider di siti web, per modificare la grafica e poter disporre di funzionalità alternative. Pensate possa essere interessante o siete troppo affezionati al layout attuale?

2) Vi piacerebbe poter fruire di un maggior numero di contenuti settimanali? Stiamo infatti ponderando l’ipotesi di inserire più post nel corso della settimana. Ma non vi causeremmo per caso overload da contenuti?

3) Vorreste poter fruire di contenuti ancora più diversificati? Oppure i macro temi che vi proponiamo abitualmente soddisfano a pieno le vostre esigenze?

4) Valutereste positivamente un allargamento del team di autori permanenti? Vi ricordo che attualmente il team è composto da 3 persone, con incursioni di tanto in tanto da parte di alcuni “amici” del blog.

Noi ci aspettiamo una partecipazione massiva ... ovviamente prendiamo l’impegno di aggiornarvi di tanto in tanto sui risultati del sondaggio.

Infine ci sono 2 importanti novità. La prima è che adesso potete trovare la nostra pagina Facebook dedicata (potete trovare il link sulla colonna di destra del blog). Vi invitiamo a diventare “fan”, come si dice nel linguaggio di Facebook, così da essere costantemente aggiornati sulle novità presenti sul blog ed incrementare allo stesso tempo la visibilità del nostro sito tra i vostri contatti.

Seconda novità: lunedì 12 ottobre (SEGNATEVI QUESTA DATA) posteremo un’intervista realizzata con Matteo Sutto, membro del team de GliAffidabili. Per chi non conoscesse questo brand, si tratta di un sito di social reputation che riscuote tanto successo, in Italia e non. GliAffidabili permette agli utenti di dare un rating ai prestatori di servizi che si mettono in vetrina tramite il sito. Avete scelto di collaborare con uno di loro? Date un voto alla sua prestazione, così da permettere agli altri membri della community di avere più informazioni sui professionisti. Perchè abbiamo intervistato Matteo? Perchè da quello che ci ha detto, ama il lavoro che fa.

D’altronde, siamo su Love My Job!.....


Os

mercoledì 7 ottobre 2009

Il compito dell’HR in periodo di crisi

Crisi economica, disoccupazione, crescita zero… Quante volte, ogni giorno, ci sentiamo ripetere queste parole dai media? LMJ non può essere di certo da meno! Certo, perché anche i professionisti HR vivono la crisi economica sulla loro pelle. Secondo voi, in una delle (tante, purtroppo) aziende colpite dalla crisi economica, cosa succede al lavoro di gestione delle risorse umane?

Innanzitutto in tutte le aziende che hanno avuto riduzioni o perdite nei profitti, la parola d’ordine è: “riduzione dei costi”. Sono certa che in tutte le direttive che piombano negli uffici HR di queste aziende compaia implacabile la parola “FREEZE”. Cosa significa? Beh, ve la spiegherò mostrandovela nelle sue diverse declinazioni:

- HIRING FREEZE – blocco delle assunzioni di personale (ahimè, poveri recruiter!) e dei rinnovi contrattuali dei lavoratori a tempo determinato/interinali
- SALARY PLAN FREEZE – blocco delle revisioni annuali degli stipendi per eventuali aumenti o premi
- OVERTIME FREEZE – blocco delle ore di lavoro straordinario (l’azienda diffida i lavoratori da lavorare overtime e avverte che gli straordinari non verranno più remunerati)
- TRAVEL FREEZE – blocco delle trasferte (se non quando strettissimamente necessario) e comunque controllo/riduzione di tutte le note spese.
- Insomma, l’azienda viene messa nel FREEZER e congelata in alcune attività, per contenere quanto più possibile i costi.

Ma se questo non dovesse bastare? E’ proprio in questi casi che il professionista HR si trova faccia a faccia con processi ben più complessi e “impattanti” per i dipendenti, di cui – volente o nolente – sarà lui stesso il direttore d’orchestra. Sto parlando degli ammortizzatori sociali messi a disposizione delle aziende durante i periodi di crisi. Davanti a tutti, le ben note “Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria” (http://www.inps.it/Doc/TuttoINPS/Prestazioni/Le_prestazioni_a_sostegno_del_reddito/La_cassa_integrazione_guadagni_straordinaria/index.htm) e la più drastica “Indennità di Mobilità” (http://www.inps.it/doc/TuttoINPS/Prestazioni/Le_prestazioni_a_sostegno_del_reddito/L_indennita_di_mobilita/index.htm).

Una volta stabilito che non c’è altro modo per far fronte alle perdite aziendali e stabilito quale dei due procedimenti mettere in atto, diventa compito proprio degli specialisti di risorse umane gestire il processo. Ed ecco che il “TO DO” del giorno comincia a prevedere:

1) leggi, decreti, concessioni e burocrazia tra cui farsi strada per capire qual è il processo ottimale rispetto alle esigenze aziendali e agli obiettivi posti dall’alto – meglio Cassa Integrazione o Mobilità, Cassa “nominativa” o “a rotazione”, pagamento INPS diretto o tramite azienda, etc.?mediazione tra tutti gli interlocutori coinvolti – vale a dire l’azienda con le sue logiche di profitto; i sindacati e le loro ideologie; i lavoratori, ognuno con le proprie esigenze e i propri (leciti!) dubbi
2) comunicazione e aggiornamento costante di questi stessi soggetti – sottolineare all’azienda i benefici del processo e i progressi della contrattazione; negoziare con i sindacati cercando di trasmettere i criteri aziendali; informare e rassicurare i lavoratori in merito al cambiamento… In pratica, continue ed interminabili riunioni! 
3) a patto concluso – calcolatrice alla mano – calcolo di ore di Cassa/ferie da smaltire/contributi da versare/part-time da rivedere/maternità da conteggiare e chi più ne ha più ne metta!
4) compilazione di tutta la modulistica necessaria per Regioni, Associazioni di Categoria, INPS e altri enti – e qui bisogna sfoderare precisione e… tutta la fantasia di cui si dispone per indovinare i contenuti richiesti da questi form scritti in burocratese!
4) infine gestione del follow up del processo durante il periodo di Cassa/Mobilità, continuando a fornire la modulistica e le informazioni necessarie agli interlocutori.

Detto così, sembra tutto complicato, difficile e noioso. In realtà, avendo vissuto sulla mia pelle questa esperienza, posso dire che queste attività stimolano sentimenti contrastanti. Da una parte affrontare un processo del genere permette di acquisire tantissime competenze, per approfondire la propria professionalità HR: conoscenza dei processi di ammortizzatori sociali, doti comunicative e di mediazione, abilità “hard” di gestione delle buste paga, delle presenze e dei contratti, etc. Inoltre, devo ammettere che è davvero sfidante “costruire” e mettere in atto tutti questi processi in autonomia (in particolare se, come è successo a me, si opera in contesti di dimensioni medio/piccole dove non c’è un Ufficio per le Relazioni Industriali a smaltire il grosso del lavoro!).

Dall’altra parte posso assicurare che è davvero difficile mettere in pratica processi che non solo andranno a peggiorare le condizioni economiche e lavorative delle persone, ma che inevitabilmente intaccheranno anche il clima aziendale e il nostro rapporto con i colleghi. Certo, la direttiva arriva dall’alto, ma nella pratica l’implementazione è in mano all’HR. Inoltre è dura abbandonare la logica secondo cui si definivano gli obiettivi di risorse umane prima della crisi: lavorare per costruire nuovi processi e ampliare/migliorare quelli esistenti. Ora ci si trova di punto in bianco a dover passare al modus operandi dei periodi di crisi, secondo il quale gli obiettivi diventano invece di contenimento, riduzione e smantellamento. E’ un’atmosfera talvolta soffocante per chi è cresciuto professionalmente nel periodo in cui si puntava sempre all’improving e alla crescita.

In conclusione quindi mi viene da dire… E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! Anche se si tratta di processi radicali, teniamo presente che saranno proprio loro la condicio sine qua non per la nuova ripresa economica dell’azienda! Ecco perché è fondamentale che siano portati avanti da professionisti HR davvero appassionati del mestiere: perché solo mettendoci passione possiamo fare in modo che il processo – purtroppo inevitabile – sia condotto nel miglior modo possibile, contenendo al minimo le ripercussioni sui lavoratori e gettando le basi per un rapido recupero economico dell’azienda, del quale beneficeranno in futuro queste stesse persone ora coinvolte.


Alice

venerdì 2 ottobre 2009

A colloquio con Owen Wilson… Fino a che punto è bene essere sinceri al colloquio?

Dopo il tormentone dell’ultimo video che abbiamo visto insieme nel post precedente – “LA SINCERITA’” – e dopo avervi ripetuto più volte di essere trasparenti durante i colloqui di selezione, vorrei sollevare ora un quesito importante: fino a che punto è bene essere sinceri al colloquio?

http://www.youtube.com/watch?v=SsyEHDxmopo

In questa scena, tratta dal film Io, tu e Dupree, Owen Wilson/Dupree si lancia entusiasta verso il suo colloquio: è vestito al meglio, ha la giusta motivazione e l’intenzione di mostrarsi al meglio. All’incontro, Dupree si presenta per quello che è: una persona allegra, socievole, che ama divertirsi e sfruttare le ferie. E’ stato completamente trasparente col selezionatore: eppure riesce a combinare un disastro completo, facendo sorridere il suo pubblico.

Tralasciando ancora una volta le esagerazioni della pellicola cinematografica e analizzando la scena con occhio critico, vorrei farvi notare che le caratteristiche da lui presentate non sono affatto negative, ma anzi abbastanza comuni tra le persone e talvolta addirittura palesemente richieste dalle aziende – pensiamo per esempio a quando si parla di teamwork. E’ la disastrosa e comica modalità che Dupree utilizza per esternarle, a causare il completo fallimento della situazione. Quello che voglio dire è che se da una parte è corretto mostrare le proprie caratteristiche, dall’altra occorre anche farlo nel modo più coerente al contesto in cui si agisce.

Prendete ad esempio la caratteristica della socievolezza. Va bene essere socievoli, ma a cosa serve essere dei “compagnoni” – come si definisce il candidato – in un’azienda? Forse potrebbe andare bene come presentazione per la posizione di animatore turistico… Pensiamo però all’ambiente aziendale e chiediamoci a cosa può servire la socievolezza: magari a sedare conflitti nel mondo del lavoro, a creare l’atmosfera più favorevole alla produttività, a supportare un buon lavoro di gruppo. Quindi se caliamo l’essere socievoli e compagnoni nella realtà lavorativa con esempi concreti, sarà più facile per l’interlocutore comprendere la valenza positiva di tale caratteristica.


Considerate poi quando Dupree presenta la sua filosofia del “non vivo per lavorare, lavoro per vivere”. Anche questo modo di pensare non è necessariamente considerato negativo dalle aziende: molte organizzazioni ormai fanno della work-life balance un “cavallo di battaglia” delle loro politiche di risorse umane. Sostenere questo modo di pensare, facendo riferimento ad un certo tipo di carriera e ad altri interessi che la persona coltiva al di fuori del lavoro, potrebbe essere considerato indice di intraprendenza, creatività, ecc. Certo che se come Dupree lo si abbina a “non sono uno stakanovista”, “se cercate un cavallo da tiro, non sono forse l’uomo che fa per voi” e “festeggiate il Columbus Day?”, ecco che fa tutta un’altra impressione: l’impressione di una persona che non ha voglia di lavorare. E, se voi foste un’azienda, assumereste un impiegato che non ha voglia di lavorare?

Le domande sulle festività – nel film palesemente demenziali – in realtà mi hanno fatto ricordare di alcuni candidati che al colloquio hanno chiesto esplicitamente informazioni sull’orario di lavoro e le possibilità di dover fare straordinari. A meno che non si tratti di definire un part-time o non abbiate problemi particolari d’orario, non fate mai questo tipo di domanda al colloquio. Come nel caso dei quesiti del nostro protagonista sui giorni di ferie, fanno trasparire la mancanza di motivazione al lavoro. 

Chi vorrebbe assumere una persona che conta le ore e i minuti prima di uscire e non è disponibile a fare straordinari, se necessario? Se siete interessati a lavorare in un ambiente che permetta una buona work-life balance, come ho già detto, il mio consiglio è fare esplicitamente riferimento a questa politica. Va da sé che, se l’azienda prevede ritmi e orari aziendali piuttosto impegnativi, il selezionatore ve lo farà presente al colloquio per sondare la vostra disponibilità. E’ del tutto gratuito, secondo me, chiedere quante ore di lavoro sono previste ogni settimana: in Italia i contratti collettivi nazionali prevedono più o meno le stesse ore per tutti (che oscillano tra le 37 e 40 ore settimanali); chiedendo informazioni su questo si mostra solo insofferenza verso il lavoro in sé. Eventuali approfondimenti rimanda teli a una fase successiva della selezione.

Per riassumere, la trasparenza è di certo importante per instaurare una relazione proficua con il selezionatore e con l’azienda, ma ricordatevi sempre che tra gli obiettivi che ci si pone presentandosi a colloquio c’è anche la promozione di se stessi: è quindi altrettanto fondamentale, oltre alla sincerità, inserirsi nella relazione tenendo sempre presente il contesto di riferimento e adattare la comunicazione all’ambiente in cui ci si vuole inserire. La trasparenza e il corretto orientamento al contesto sono le chiavi del successo per il candidato che vuole presentarsi in modo efficace.


Alice