venerdì 25 settembre 2009

A colloquio con Stefano Accorsi … Quando il colloquio diventa uno scontro.

Dopo lo strano colloquio di Woody Allen, vi propongo un esempio altrettanto divertente di colloquio non riuscito, che ci mostrerà un’intervista trasformarsi in conflitto. http://www.youtube.com/watch?v=3AQXgPtvAtk Il colloquio di Stefano Accorsi in Santa Maradona è un completo fallimento. A mio avviso, la causa del finale negativo è riconducibile al conflitto che si instaura tra candidato e selezionatore, entrambi artefici di questa spiacevole situazione. Da una parte abbiamo un selezionatore poco professionale e – direi – compiaciuto del potere di cui si sente investito (lo stereotipo del selezionatore che, come dicevo nel post precedente, “ha il coltello dalla parte del manico”); dall’altra abbiamo un candidato per niente motivato a riuscire nel colloquio e dunque non interessato a presentarsi al meglio. L’incontro tra questi due personaggi trasforma il colloquio in uno scontro in cui il candidato sembra vincere l’ultima battaglia, ma non la guerra, il cui esito è simboleggiato dalla violenta riga con cui il selezionatore decreta la negatività della valutazione.
Il mea culpa che deve fare il selezionatore? L’ostentazione di questo presunto potere di cui si sente investito, ma che in realtà, come vi ho già detto più volte, rappresenta più un onere che un onore per il selezionatore. Questo suo gongolarsi nella propria autorità lo porta a deteriorare immediatamente il rapporto con il candidato, che per tutta risposta si chiude e diventa ostile. Questo recruiter ci mostra una delle cose peggiori che potrebbe fare chi si occupa di selezione: svilire il candidato. Quest’uomo svilisce il suo curriculum e la sua esperienza, dicendogli (o meglio, insinuando con sottile arroganza) che il suo profilo non potrà mai passare la selezione. Ho vissuto questa situazione sulla mia pelle come candidata e posso assicurare che è davvero una sensazione brutta sentirsi svalutati dopo tutti gli sforzi compiuti per arrivare ad un certo livello di professionalità. Questo tipo di atteggiamento del recruiter è un vero e proprio attacco, che molto facilmente può trasformarsi in conflitto. Inoltre, questo comportamento porta il selezionatore ad altri errori veramente banali, come anticipare l’esito della selezione in sede di colloquio (rif. …) e far trasparire i criteri di selezione. Infatti, osservando il CV di Accorsi, egli critica età, titolo di studio e voto di laurea, esperienza lavorativa. E in questo modo non solo lascia trapelare all’esterno informazioni sensibili dell’azienda (Accorsi infatti potrebbe benissimo raccontare tutto agli amici e innescare il passaparola), ma lascia anche trasparire la propria incompetenza: se il profilo non è in linea con quanto richiesto dall’azienda, perché chiamare il candidato a colloquio? In effetti, sembra proprio che non sia per niente interessato ad approfondire il suo profilo, perché gli pone domande banali, senza indagare sulle risposte, inizialmente un po’ criptiche e poi palesemente ironiche, del candidato. In più, pone anche una domanda estremamente riservata al candidato, sul reddito di famiglia, probabilmente al solo scopo di umiliazione. Ovviamente qui la situazione è esasperata dall’atmosfera cinematografica, ma una verità di fondo resta: il comportamento negativo del selezionatore danneggia oltre all’immagine aziendale, anche lo stesso rapporto con il candidato che può diventare palesemente ostile. Del resto però anche il candidato ha un concorso di colpa in questo conflitto. Dopo la provocazione del selezionatore, non fa nulla cambiare la sua opinione: a quel punto si chiude in se stesso e si rifiuta di partecipare attivamente al colloquio, rispondendo piuttosto con un’altra provocazione. Così facendo decreta la sua valutazione completamente negativa. In effetti, dalle scene successive del film sappiamo che l’atteggiamento del protagonista ai colloqui di lavoro è sempre lo stesso, tanto che il suo amico, durante un litigio, gli rinfaccerà: “Sono io quello che va ai colloqui sapendo già che li vuole perdere?”. A mio avviso, una volta iniziato un colloquio, vale comunque la pena dare il massimo di sé per passare la selezione. Per prima cosa, non è detto infatti che l’azienda non sia un valido posto in cui lavorare, solo perché il recruiter non è professionale. Giocare il tutto e per tutto per promuoversi al meglio potrebbe aumentare le probabilità di far cambiare idea al selezionatore e aprire l’accesso ad un buon posto di lavoro! La provocazione e il conflitto sono atteggiamenti non costruttivi, che portano invece con certezza alla sconfitta. E poi, come vi ho già detto, ogni colloquio è una palestra: anche se la valutazione finale resterà negativa, il candidato avrà fatto pratica rispondendo a domande nuove e cogliendo l’opportunità per migliorare le proprie argomentazioni. Insomma, il consiglio per entrambe le parti è evitare sempre il conflitto, anche quando il proprio interlocutore fa di tutto per “mettere i bastoni tra le ruote”. Aprirsi alla relazione con l’altro non potrà danneggiarvi più di un aperto conflitto, ma anzi potrebbe favorire i vostri scopi (in questo caso promuovervi al meglio) e arricchirvi dal punto di vista professionale/personale.
Alice

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