mercoledì 7 ottobre 2009

Il compito dell’HR in periodo di crisi

Crisi economica, disoccupazione, crescita zero… Quante volte, ogni giorno, ci sentiamo ripetere queste parole dai media? LMJ non può essere di certo da meno! Certo, perché anche i professionisti HR vivono la crisi economica sulla loro pelle. Secondo voi, in una delle (tante, purtroppo) aziende colpite dalla crisi economica, cosa succede al lavoro di gestione delle risorse umane?

Innanzitutto in tutte le aziende che hanno avuto riduzioni o perdite nei profitti, la parola d’ordine è: “riduzione dei costi”. Sono certa che in tutte le direttive che piombano negli uffici HR di queste aziende compaia implacabile la parola “FREEZE”. Cosa significa? Beh, ve la spiegherò mostrandovela nelle sue diverse declinazioni:

- HIRING FREEZE – blocco delle assunzioni di personale (ahimè, poveri recruiter!) e dei rinnovi contrattuali dei lavoratori a tempo determinato/interinali
- SALARY PLAN FREEZE – blocco delle revisioni annuali degli stipendi per eventuali aumenti o premi
- OVERTIME FREEZE – blocco delle ore di lavoro straordinario (l’azienda diffida i lavoratori da lavorare overtime e avverte che gli straordinari non verranno più remunerati)
- TRAVEL FREEZE – blocco delle trasferte (se non quando strettissimamente necessario) e comunque controllo/riduzione di tutte le note spese.
- Insomma, l’azienda viene messa nel FREEZER e congelata in alcune attività, per contenere quanto più possibile i costi.

Ma se questo non dovesse bastare? E’ proprio in questi casi che il professionista HR si trova faccia a faccia con processi ben più complessi e “impattanti” per i dipendenti, di cui – volente o nolente – sarà lui stesso il direttore d’orchestra. Sto parlando degli ammortizzatori sociali messi a disposizione delle aziende durante i periodi di crisi. Davanti a tutti, le ben note “Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria” (http://www.inps.it/Doc/TuttoINPS/Prestazioni/Le_prestazioni_a_sostegno_del_reddito/La_cassa_integrazione_guadagni_straordinaria/index.htm) e la più drastica “Indennità di Mobilità” (http://www.inps.it/doc/TuttoINPS/Prestazioni/Le_prestazioni_a_sostegno_del_reddito/L_indennita_di_mobilita/index.htm).

Una volta stabilito che non c’è altro modo per far fronte alle perdite aziendali e stabilito quale dei due procedimenti mettere in atto, diventa compito proprio degli specialisti di risorse umane gestire il processo. Ed ecco che il “TO DO” del giorno comincia a prevedere:

1) leggi, decreti, concessioni e burocrazia tra cui farsi strada per capire qual è il processo ottimale rispetto alle esigenze aziendali e agli obiettivi posti dall’alto – meglio Cassa Integrazione o Mobilità, Cassa “nominativa” o “a rotazione”, pagamento INPS diretto o tramite azienda, etc.?mediazione tra tutti gli interlocutori coinvolti – vale a dire l’azienda con le sue logiche di profitto; i sindacati e le loro ideologie; i lavoratori, ognuno con le proprie esigenze e i propri (leciti!) dubbi
2) comunicazione e aggiornamento costante di questi stessi soggetti – sottolineare all’azienda i benefici del processo e i progressi della contrattazione; negoziare con i sindacati cercando di trasmettere i criteri aziendali; informare e rassicurare i lavoratori in merito al cambiamento… In pratica, continue ed interminabili riunioni! 
3) a patto concluso – calcolatrice alla mano – calcolo di ore di Cassa/ferie da smaltire/contributi da versare/part-time da rivedere/maternità da conteggiare e chi più ne ha più ne metta!
4) compilazione di tutta la modulistica necessaria per Regioni, Associazioni di Categoria, INPS e altri enti – e qui bisogna sfoderare precisione e… tutta la fantasia di cui si dispone per indovinare i contenuti richiesti da questi form scritti in burocratese!
4) infine gestione del follow up del processo durante il periodo di Cassa/Mobilità, continuando a fornire la modulistica e le informazioni necessarie agli interlocutori.

Detto così, sembra tutto complicato, difficile e noioso. In realtà, avendo vissuto sulla mia pelle questa esperienza, posso dire che queste attività stimolano sentimenti contrastanti. Da una parte affrontare un processo del genere permette di acquisire tantissime competenze, per approfondire la propria professionalità HR: conoscenza dei processi di ammortizzatori sociali, doti comunicative e di mediazione, abilità “hard” di gestione delle buste paga, delle presenze e dei contratti, etc. Inoltre, devo ammettere che è davvero sfidante “costruire” e mettere in atto tutti questi processi in autonomia (in particolare se, come è successo a me, si opera in contesti di dimensioni medio/piccole dove non c’è un Ufficio per le Relazioni Industriali a smaltire il grosso del lavoro!).

Dall’altra parte posso assicurare che è davvero difficile mettere in pratica processi che non solo andranno a peggiorare le condizioni economiche e lavorative delle persone, ma che inevitabilmente intaccheranno anche il clima aziendale e il nostro rapporto con i colleghi. Certo, la direttiva arriva dall’alto, ma nella pratica l’implementazione è in mano all’HR. Inoltre è dura abbandonare la logica secondo cui si definivano gli obiettivi di risorse umane prima della crisi: lavorare per costruire nuovi processi e ampliare/migliorare quelli esistenti. Ora ci si trova di punto in bianco a dover passare al modus operandi dei periodi di crisi, secondo il quale gli obiettivi diventano invece di contenimento, riduzione e smantellamento. E’ un’atmosfera talvolta soffocante per chi è cresciuto professionalmente nel periodo in cui si puntava sempre all’improving e alla crescita.

In conclusione quindi mi viene da dire… E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! Anche se si tratta di processi radicali, teniamo presente che saranno proprio loro la condicio sine qua non per la nuova ripresa economica dell’azienda! Ecco perché è fondamentale che siano portati avanti da professionisti HR davvero appassionati del mestiere: perché solo mettendoci passione possiamo fare in modo che il processo – purtroppo inevitabile – sia condotto nel miglior modo possibile, contenendo al minimo le ripercussioni sui lavoratori e gettando le basi per un rapido recupero economico dell’azienda, del quale beneficeranno in futuro queste stesse persone ora coinvolte.


Alice

2 commenti:

  1. Ciao
    ho letto con molto interesse l'articolo e credo che il Responsabile delle risorse umane deve innanzi tutto rispettare gli interessi dell'azienda cercando di salvaguardare l'umanità della risorse. Purtroppo una delle caratteristiche dell'HR manager è proprio quella del cinismo (aggettivo forse troppo forte ma spiega bene il senso).
    Grazie e buon proseguimento.
    Ilaria

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  2. Ilaria,
    sono d'accordo: forse il termine "cinismo" e' forte, ma di sicuro occorre essere capaci di mantenere un certo "distacco" per conservare quell'equilibrio tra interessi aziendali e umanita' delle risorse di cui hai parlato.
    Si potrebbe dire che il professionista di risorse umane in questi casi venga ad assumere quasi una doppia anima: da una parte deve infatti essere quanto piu' possibile di supporto alle persone (offrendo informazioni, seguendo alcuni particolari casi personali, etc.); dall'altra pero' non puo' e non deve mai abbandonare quei parametri che l'azienda ha stabilito all'inizio del processo per salvaguardare i propri interessi, mostrando costantemente fermezza e determinazione nelle trattative e nei confronti interpersonali.

    Grazie,
    Alice

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